Un gibbo che si chiama Catria e un ermo disposto a sola latria

Anche se non sapremo mai se Dante sia stato davvero nell’eremo di Fonte Avellana a godere della pace, del silenzio e della concentrazione dello studio nella importante  biblioteca o se abbia mai sentito il rumore dei tuoni che si incanalano tra le rocce amplificando il loro suono lungo le parteti del monte Catria, i versi nel ventunesino canto del Paradiso ce lo fanno ben immaginare. 

Sono convinti invece della sua permanenza  i monaci che mostrano la piccola cella di quattro metri per quattro in cui il poeta avrebbe dormito; e ancor più lo è stato il priore Filippo Ridolfi che nel 1557 fece murare una lapide in cui si affermava che Dante  avrebbe scritto nell'eremo anche una parte del poema; la lapide nel 1622 è stata tolta da una cella e posta nel chiostro.

I versi in cui Dante incontra San Pier Damiani, arrivato a Fontavellana nel 1035 e divenuto priore nel 1043, innestano la nitidezza del cupo paesaggio naturale nella altrettanto netta forza morale del personaggio. Fu lui a imporre una svolta alla decadenza che aveva colto la vita monastica alla fine del XIII secolo, gettando una pessima fama sul luogo sacro fondato da San Romoaldo alla fine del IX secolo. “Li moderni pastori tanto son grassi” che “ cuopron dei manti loro i palafreni/ si che due bestie van sotto una pelle”. La sua permanenza portò un rinnovamento dell’ordine e un potenziamento dello spazio di studio e concentrazione, rappresentato soprattutto dalla splendida biblioteca. 

Dante presenta il Catria e Fontavellana sottolineando il colpo d’occhio che si crea quando si arriva dal Montefeltro, dopo aver superato Urbania, Acqualagna, Cagli e, immersi in una zona boscosa, ci si trova d’improvviso ai piedi del monte che appare subito molto più imponente degli altri che si incontrano nella provincia. Il massiccio del Monte Catria  è il rilievo più alto della provincia di Pesaro e del tratto appenninico che va dai Sibillini alle montagne del bolognese: è alto 1701 metri.  Eppure il ponte del I sec a. C. che ancora oggi ammiriamo ai suoi piedi testimonia che fu un luogo di cammino: la  strada Consolare Flaminia nella Gola del Burano appariva come la migliore via di collegamento della costa Adriatica con Roma. La montagna è definita “un atlante geologico” perchè si possono riconoscere tutti gli stadi di formazione dell’Appennino centrale; da lì  nascono ben quattro fiumi: Cesano, Artino, Bevano, Cinisco. 

Non è difficile fare l’esperienza di un temporale estivo, che porta un cambiamento rapidissimo di colori, temperature e  odori ed è una esperienza intensa, come lo è un soggiorno nel monastero, dove il silenzio, il rigore, il senso della cura aleggiano forti anche quando i visitatori affollano gli spazi.  

Nei versi di Dante il luogo descritto è reale e riconoscibile, ma più forte è un uso metonimico che rimanda continuamente tra San Pier Damiani  e il  paesaggio del Catria e di Fontavellana la forza e il rigore della natura così come delle azioni umane. 

Il cammino dal Catria e Fontavellana discende verso Frontone e Serra Sant’abbondio, Pergola da dove il mare sembra ancora lontano, il paesaggio è ancora quello montano, ma molto meno aspro e ancestrale  del “gibbo”.  Ma poi si apre Fano, prossima tappa, e anche se noi torneremo verso nord, procedendo virtualmente ad anello, l’ipotesi della visita di Dante Alighieri nelle Marche si spinge fino alla Marca del sud: Senigallia e Ancona. 

San Pier Damiani viene citato anche a Portonovo nella chiesa di Santa Maria, un bellissimo esempio di architettura romanica nelle Marche. Nel vestibolo della chiesa una lapide ricorda proprio i versi che Dante dedica a San Pier Damiani ricordandone il passaggio:

In quel loco fu’ io Pier Damiano,
e Pietro Peccator fu’ ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.


PARADISO CANTO XXI

Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ’ troni assai suonan più bassi,

e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria».

Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continüando, disse: «Quivi
al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,

che pur con cibi di liquor d’ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne’ pensier contemplativi.

Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.

In quel loco fu' io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu' ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.

Poca vita mortal m’era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa.

Venne Cefàs e venne il gran vasello
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.

Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.

Cuopron d’i manti loro i palafreni,
sì che due bestie van sott’ una pelle:
oh pazïenza che tanto sostieni!».